Il mese di gennaio, come da sempre, infiamma la polemica sui costi a cui andranno incontro gli italiani nel corso del nuovo anno. Voglio pertanto soffermarmi sull’ennesimo aumento dei premi delle polizze RC Auto: l’assicurazione obbligatoria per legge e che tutti i proprietari (o utilizzatori) di un veicolo devono stipulare per poter circolare.
Vista l’obbligatorietà della polizza e la frequenza di dette stipule rispetto alle conclusioni dei contratti di polizze facoltative (infortuni, vita, globale fabbricati, ecc.), che sono la minoranza, “tirare” il prezzo sulla polizza obbligatoria è invece meno faticoso e molto più vantaggioso sia per i bilanci delle società che per l’economia dei “venditori”.
Vediamo in dettaglio perché l’assicurato a mio modo di vedere, e di molti altri, non dovrebbe subire né quest’anno né nel prossimo avvenire un aumento del premio che anzi dovrebbe subire una contrazione.
Come emerge dalle stime fatte dalle associazione dei consumatori è verosimile che nel 2011 ci saranno degli aumenti nelle polizze RC Auto.
Per difendersi dall’aumento dei premi delle polizze auto c’è un solo modo: l’intervento da parte delle competenti autorità (Ministro dello Sviluppo Economico ed Is.v.a.p. – Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private ed interesse collettivo che opera per garantire la stabilità del mercato e delle imprese di assicurazione, nonché la trasparenza dei prodotti, nell’interesse degli assicurati e degli utenti in generale) al fine di contenere il costo delle tariffe nel settore assicurativo tramite una loro corretta applicazione.
Infatti, il fai da te, tramite la transumanza degli utenti da una compagnia all’altra, oltre ad essere minima e circolare, non ha grande significato essendo gli agenti assicurativi generalmente mono mandatari e pertanto il nuovo assicuratore non essendo un broker (broker è il professionista che ricerca e acquista, per conto del cliente, nel mercato di riferimento, il prodotto che offre il miglior rapporto qualità-prezzo) e cioè un terzo rispetto alle compagnie di assicurazioni e non avendo una pluralità di prodotti, di compagnie differenti, non potrà ottimizzare il rapporto assicurativo con il cittadino e sempre che lo stesso venda il meglio per il cliente e non quello per lui più redditizio.
Nel sito istituzionale del Ministero dello Sviluppo Economico si legge poi: ”Il Governo ritiene inammissibile che il costo medio dell’RC Auto sia di 400 euro, contro i 200 euro del resto d’Europa … L’obiettivo è una diminuzione del costo medio per cittadino in maniera sensibile che, secondo le proposte presentate dall’Isvap, può arrivare fino al 15-18 % … Il problema è quello delle frodi su cui bisogna intervenire subito…”.
Sulla questione delle frodi va detto subito che queste incidono sul totale dei sinistri un 3% mentre negli altri settori commerciali, come ad esempio nella grande distribuzione, incidono (furti e perdite di altra natura) un 6% circa del fatturato.
Ben si comprende, quindi, che la questione frodi non debba e non possa essere utilizzata quale scusante per l’aumento delle tariffe, anche se è doveroso combattere questa piaga.
Le proposte delle compagnie relative all’aumento del premio così come applicate sino ad oggi appaiono un’imposizione di “gabelle” a vantaggio di pochi (soci e addetti al settore) ed a danno dei più (utenti).
Infatti un comune utente quando sente parlare di un aumento di premio pari al 10% si rappresenta di corrispondere alla propria compagnia, se prima pagava un premio assicurativo di € 1.000,00, una somma pari ad € 1.100,00 ed è proprio quello che la compagnia pretende per assicurare il veicolo.
Applicando però l’aumento in siffatto modo non si aumenta solo il cosiddetto premio puro (e cioè la parte del premio che è “dedicata” al pagamento dei sinistri e per cui si chiede l’adeguamento) che dovrebbe essere l’unica voce soggetta all’aumento, bensì sono soggette all’aumento anche tutte le altre “voci” (spese generali di amministrazione, spese di provvigione e altri corrispettivi agli agenti, quote di ammortamento, utile di esercizio, ecc.) non pertinenti e non dovute all’aumento, facendo si che la compagnia senza alcuna attività aggiuntiva implementi i propri portafogli a “danno” degli utenti.
Facendo un esempio analogo su un settore merceologico differente da quello della RC Auto si giungerebbe alla seguente deformità: “il consumatore che si reca, il 1° gennaio 2011, in un negozio di elettrodomestici per acquistare un televisore dove l’i.v.a. fino al 2010 era pari al 20% e a partire dal 2011 pari al 25% pagherà il televisore che prima costava € 1.200,00 (€ 1.000,00 di imponibile e € 200,00 di i.v.a.) € 1.250,00 (€ 1.000,00 di imponibile e € 250,00 di i.v.a.) e non € 1.375,00 (€ 1.100,00 di imponibile e € 275,00 di i.v.a) in quanto in quest’ultimo caso il rivenditore non avrebbe applicato l’aumento del 5% soltanto sull’i.v.a., bensì su tutte le poste”.
Se tale operazione finanziaria “fosse stata ripetuta negli anni”, ben si comprende l’elevato costo delle polizze in Italia rispetto al resto degli altri paesi europei.
A tali voci automaticamente si congiungono l’imposta statale del 12,5% ed un contributo al Servizio Sanitario Nazionale pari al 10,5%, quest’ultimo per compensare in via forfettaria i costi sostenuti dalle strutture sanitarie per la cura ed il ricovero degli infortunati in incidenti stradali.
In conclusione, l’aumento così applicato fa bene, oltre che alle compagnie assicurative, allo Stato e al Servizio Sanitario Nazionale. Un po’ meno all’utente.
Avv. Saverio Bartolomei